LA CITTA' E IL DIRITTO

© Gianpiero Faedda

 
sFacoltà di Architettura di Alghero
Corso in Pianificazione Urbana Territoriale Ambientale
III ANNO - Blocco Giuridico- La Città e il Diritto
Docente: Prof. Giovanni Lobrano
Studente: Gianpiero Faedda

 

 

IL SISTEMA GIUSPUBBLICISTA ROMANO DELLA SOVRANITA' DEL POPOLO E LE SUE DEFORMAZIONI MEDIEVALI E MODERNE    

1-La “res publica” è essenzialmente democratica: contratto di società e popolo-universi cives.

a. La lex, in quanto iussum populi, è la fonte del ius. 


La così detta “democrazia degli antichi” che nel 1700, è contrapposta al sistema aristocratico rappresentativo del modello costituzionale inglese, è tutt’altro che una mera reminescenza letteraria, coltivata da umanisti antiquari su testi di filosofi, moralisti e storici greci e romani.
Il Crosa, specialista in materia di “sovranità popolare”, ha scritto:”Sull’affermazione del Digesto che l’autorità politica risiedeva nel popolo, da cui era stata trasferita nell’imperatore, non vi era discussione. I legisti accolsero questa tesi…” E continua che anche nel Medioevo il popolo era considerato il detentore del poter politico, rifacendosi così alla tradizione romanistica della lex regia, ed ancora sulla giustificazione data dal Digesto l’autorità imperiale veniva ceduta o conceduto dal popolo all’imperatore, in contrasto questo con l’assolutismo monarchico del Medioevo ed oltre fino alla Rivoluzione francese in molti Stati!  Il concetto che la sovranità derivi dal popolo è ben descritto da Cicerone nel De republica: res publica id est res populi, cioè il popolo è il prodotto di un contratto di società, così scrive il Talamanca nel suo “Contratto e patto nel Diritto romano”. In definitiva il popolo è “universi cives” (tutti i cittadini) come insegna Gaio nelle sue “Institutiones” e così lo stesso Giustiniano. Questi cioè evidenziano l’essenziale interrelazione tra la nozione di popolo (-societas) e la nozione di civitas  (città, diritto di cittadinanza  = universitas civium) di Cicerone (vedi l’opera “Repubblica”, che fa riferimento  alla greca Politèia di Platone, polis = civitas = città). Quindi la novità repubblicana romana è il superamento della dimensione cittadina, in quanto limite, ed il passaggio dallo “Stato città allo Stato – municipale” in cui si evidenzia la struttura orizzontale e volontaristica del popolo anziché quella verticale e geneticamente determinata, in cui appare eminente il ruolo svolto dalla plebe nei suoi plurisecolari conflitti con i patrizi, di cui parla Cicerone a proposito di popolo (coetus multitudinis, mentre Sallustio, Cesare e livio ai patres – patricidi contrappongono la plebs i pauci. Ed ancora Livio più giurista degli storici antichi presenta la “costituzione”’ romana repubblicana come il frutto di quei conflitti). Per tutto ciò il politologo italiano Nicola Matteucci coglie il “principio fonte di tutte le idee legali in materia di costituzionalismo antico e moderno” e per il francese Jean – Jacques Chevalier è il testo chiave per intendere il costituzionalismo romano. E in realtà i Romani sdoppiano il livello di analisi istituzionale, distinguendo tra forme di “sovranità”, per le quali ricorrono alla contrapposizione fra res publica e regnum, la cui adfectatio (aspirazione)era punita con la pena capitale, e tra le forme di governo per cui si ricorre alla tripartizione greca, ma sempre interne alla forma di sovranità repubblicana. Ciò dipende dal principio ciceroniano del popolo quale risultato di un contratto di società, che a livello di sistema giuridico comporta conseguenze logiche di assoluto rilievo. Prima conseguenza è che soltanto e tutti i cives – soci possono e devono dettare le regole generali della loro stessa società. La la lex è lo iussum populi (ossia la lex publica populi Romani cives), la manifestazione della volontà “sovrana” del popolo, cioè la manifestazione sovrana degli “universi cives”, rivolto alla stessa generalità dei cittadini. Lo iussum populi o lex publica populi Romani produce il diritto, generando la libertà dei cittadini nello stesso momento in cui la disciplina. Nella esperienza greca si ha il termine nomos come comando del popolo, insieme all’affermarsi del termine democrazia e quindi di equazione tra libertà ed impero della legge. Quindi l’originalità romana resta intiera sia nella ineludibile individuazione che nella rigorosa circoscrizione della specifica competenza “legislativa” (non di governo) del popolo,. Tale distinzione è fondamentale nelle vicende delle prassi e delle scienze giuridiche post romane, anche oggi,  anche se spesso c’è confusione (di compiti) fra potere legislativo e potere esecutivo.

bI magistrati sono in protestate del popolo

Seconda conseguenza è la natura del rapporto tra il popolo ed i magistrati: anche ciò è specifico del Diritto pubblico romano. Il rapporto di natura societariaè tra i cives, mentre il rapporto tra magistrati e popolo non è di natura societaria, ma neppure riconducibile al genus contrattuale è invece di natura potestativa. Il potere per eccellenza del popolo (universi cives, i Quiriti = i Romani) è la potestas, potere cioè su se medesimo. I magistrati non soltanto ricevono il potere dal popolo, ma essi stessi sono nella potestà del popolo, cioè i magistrati sono posti nei confronti del popolo sullo stesso piano dei figli di famiglia (filii familias) nei confronti del pater familias e sullo stesso piano dei servi nei confronti del dominus. Quindi tra il popolo sovrano ed il governo (magistrature patrizie e senato di ex magistrati) si stabilisce una ben chiara dialettica. E da Cicerone si possono estrapolare tre nozioni: i magistrati come esecutori servili (villici) della volontà popolare (servare leges) e, quindi, rappresentanti nel senso, però, non di rappresentanza della volontà, nozione quest’ultima estranea alla logica giuridica romana, ma di rappresentanza del potere nella esecuzione di quella volontà.

c.  Senza tribunato /tra popolo e magistrati) non c’è repubblica


Terza conseguenza è il tribunato (e la dittatura). Cicerone osserva che senza il tribunato il regnum si sarebbe conservato pure sotto mentite spoglie (e pertanto non vi sarebbe stata la repubblica) ed ancora senza il tribunato il potere popolare sarebbe stato sfrenato.
Quindi il tribuno della plebe si colloca nell’articolazione della dialettica tra popolo – moltitudine e patricii magistratus, per assicurarne il corretto funzionamento. La potestà tribunizia si esprime nell’intercessio (cioè auxilii latio ai cives, nonché vis ad coercendos  magistratus = patrizi, definizione quest’ultima valevole tanto per i tribuni della plebe quanto per il magister populi – dictactor) e nello specifico ius agendi cum plebe, caratterizzato da un ruolo maieutico nei confronti del potere del popolo – plebe.

d.  Innovazione e continuità della sistematica del Corpus Juris Civilis

Il Corpus Juris Civilis, sintesi giuridica dell’Impero universale romano, resta fondato sul popolo: “I grandi giuristi del Digesto ammettevano una sola fonte dell’autorità politica nell’Impero: il popolo romano; gli stessi imperatori fino a Giustiniano riconobbero come vera questa teoria” così scrivono molti storici! Nel Corpus Juris non viene meno il fondamentale valore di riferimento della lex, come iussum populi, tra le fonti del diritto, né si modifica la connessa concezione del rapporto fra popolo e magistrati. La continuità operativa della identificazione della legge nella volontà del popolo è attestata dal Corpus Juris, che non solo la proietta sull’origine romulea (Romolo), ma l’afferma anche per il presente e per il futuro. Infatti la LEX continua ad obbligare solo in quanto espressione del giudizio del popolo, ma la dialettica costituzionale è, però, innovata, perché nell’Impero, da un lato le assemblee (i comizi) del popolo sostanzialmente vengono meno e, dall’altro lato, vi è il Principe. Comunque Giustiniano non dice che la volontà del Principe  “è legge” ma che essa volontà “ha valore di legge” e quindi il Princeps le gibus solutus est, ciò nonostante dai contemporanei il Principe non è percepito come un avversario necessario del potere popolare. In conclusione il Principato non è la causa, bensì l’effetto o meglio il rimedio della crisi dell’istituto comiziale. La crisi della Repubblica nell’ultimo secolo a.C. è la crisi del rapporto popolo – città. Il rapporto più immediato fra popolo e città (messo a dura prova dalla tendenziale apertura del jus civivitatis a comunità e a singoli da parte del popolo Romano e da parte dei patres familias) scoppia realmente solo alla fine dell’evo pre – cristiano, quando i soci Italici (gli alleati dei romani), chiedonoed in parte impongono con la forza il perfezionamentodella loro qualità di soci del popolo romano con la estensione della cittadinanza romana. In altri termini è il perfezionamento della più ampia societas di popoli – città,costruita attraverso lo strumento dell’istituto federativo
Dinanzi ai limiti dei comizi (divenuti ormai troppo angusti), Ottaviano Augusto, il primo Principe (si noti che Principe vuol dire primo fra pari!), inizia la sua carriera pubblica tentando (da patrizio) di farsi eleggere tribuno, quindi cerca di nuovo il consenso universale attraverso “la iuratio dell’Italia e delle province”(32 a.C.), utilizzando cioè una procedura che era all’origine dell’istituto tribunizio per assumere quindi la potestà tribunizia, come elemento qualificante del potere del principe. Si ricordi che il rapporto della plebe con il resto del popolo (i patrizi) è costruito con un foedus, per il quale è istituito il tribunato sia come garante che come elemento motore.
Il fondamentale principio societario repubblicano “ogni potere deriva dal popolo” (ossia dagli universi cives) resta vitale e sviluppa con l’Impero e nell’Impero specifiche forme di manifestazione. Pertanto tutti i poteri del Principe derivano dal popolo, il quale li rincoferisce  ad ogni nuovo principe e cosa più importante è che la volontà del popolo continua ad avere strumenti di efficace manifestazione: come il meccanismo della consuetudine per la produzione e l’abrogazione di norme giuridiche ed il sistema delle autonomie municipali. E attraverso la consuetudine i giuristi dell’Impero e lo stesso Giustiniano riaffermano il ruolo del popolo, quale fonte diretta e attiva del diritto e perciò il popolo continua ad essere legibus solutus. E’ il venir meno della produzione di leggi comiziali che produce l’attenzione giurisprudenziale per la consuetudine, quale surrogato della lex publica, in quanto come quella espressione della volontà popolare.
Nell’88 a.C. ad es. ,’estensione della cittadinanza ai Latini ed ai soci Italicicomporta la riorganizzazione dell’Italia in municipia civium Romanorum e tre secoli dopo l’editto di Caracolla dl 212 d.C. segna non soltanto l’estensione della cittadinanza a tutti gli abitanti dell’Impero ma anche il termine “a quo” di unificazione del regime delle aggregazioni urbane che, dall’editto in poi, sono allo stesso tempo municipia e civitates (unuversitates). L’Impero non è pensabile in termini di monarchia assoluta senza però dimenticarsi delle “città – municipi” e del loro ruolo di strumenti di diffusa partecipazionedei cives alla complessa formazione della volontà pubblica.

2- Gli strumenti medievali per la deformazione in senso aristocratico del sistema romano della sovranità del popolo
a. Incompatibilità della logica feudale con la nozione giusromanistica di popolo

Per il pensiero giuridico dopo Giustiniano risulta particolarmente difficile riprendere dal Corpus Juris Civilis la nozione ed il ruolo del popolo, nonché, quindi, sia la nozione di repubblica come res populi sia la nozione di legge come iussum populi.
La dialettica popolo – Principe, espressa nel CJC, viene colpita e compromessa nella parte popolare dal sopravvenire di due nozioniche appaiono deformazioni di corrispondenti nozioni giusromanistiche: 1)concezione del contratto sociale come costitutivo, anziché del populus (contratto di società o sociale), del rapporto tra popolo e Principe (contratto di governo o di dominazione); 2) concezione della gestione della persona della civitas – universitas da parte delle magistraturein termini, anziché di gestione del potere di quella universitas, di rappresentanza della volontà di quella persona. Queste deformazioni della logica essenzialmente democratica o repubblicana del Diritto pubblico romano appartengono ad una logica totalmente altra (che chiamiamo politico – giuridica) è essenzialmente aristocratica o feudale.Quindi contratto di governo o di dominazione e rappresentanza comportano necessariamente la perdita di nozione di popolo come societas e dei suoi connessi: 1) distinzione tra il piano della repubblica e quello delle forme di governo; 2) nozione della legge come comando del popolo; 3) nozione del potere tribunizio come strumento istituzionale affatto specifico di garanzie della corretta articolazione tra il potere del popolo ed il potere del Principe.

b. La teoria del pactum subiectionis

La dottrina del contratto di dominazione o contratto di governo quale fondamento giuridico del potere statuale è ricavata da una lettura deformante delle fonti romane. E questa dottrina riceve un forte impulsoall’inizio dell’epoca moderna, dai cosiddetti monarcomachi. E’ in questo periodo che l’idea romana del contratto sociale viene oscurata e Lobrano insiste che il contratto sociale non è una novità moderna apparsa per la prima volta dopo e come sviluppo dell’idea del contratto di governo, ma ha la sua origine in epoca romana, non viene cioè introdotta ex novo, ma viene ripresa dal romanista ALTHUSIUS (1557 – 1638), il quale nel diritto romano trova non solo la nozione tecnica di contratto di società fra individui, ma anche la sua compiuta utilizzazione per dare ragione e della natura del popolo e di un sistema giuridico fondato a partire da esso. Ed è con questi che la nozione romana di contratto sociale viene affiancata alla nozione medievale di contratto di governo. Per ALTHUSIUS la collettività popolare è dotata di tutti i diritti di sovranità politica sopra i suoi membri ed applica, quindi, al popolo il preciso concetto di sovranità che considera inalienabile, imprescrittibile ed indivisibile. Senza popolo sovrano non si ha “res publica”. Ma la costruzione di ALTHUSIUS del popolo è federativa:  egli individua la societas non solo fra gli individui, ma anche tra famiglie, municipi e province ed un particolare risalto dà al municipio. Ed infine con una trasposizione dal piano deontologico al piano ontologico giunge a considerare artificiosa la distinzione che fa BODIN tra forma di Stato e forma di governo, perché tutte le forme statali sono solo differenze nel modo di governo. Accanto al contratto di società ALTHUSIUS conserva però il contratto di governo – dominazione. Ed il SUMMUS MAGISTRATUS è legato al popolo da un contratto bilaterale fra consociazione del mandante e del mandatario, composto di due parti: COMMISSIO REGNI e prestazione del giuramento di obbedienza da parte dei sudditi. E la persistenza del contratto di governo – dominazione faciliterà al filosofo HOBBES  l’operazione di individuare, col fondere i due contratti, direttamente nello stesso contratto di governo – dominazione l’atto di formazione del popolo, ma non come POPOLO UNIVERSI CIVES, ma come popolo – LEVIATANO. Cioè dello Stato – persona contemporaneo, che HEGEL (altro filosofo) teorizzerà due secoli dopo. La concezione leviatanica del popolo implica un balzo in avanti qualitativo e quantitativo della dottrina della rappresentanza politica.

c. La teoria della rappresentanza del popolo: confusione e sostituzione di questa con il e al potere tribunizio


Anche la dottrina medievale della rappresentanza appare formarsi come deformazione di categorie giuridiche romane ciò ad opera dei canonisti
Secondo SINIBALDO DEI FIESCHI la dottrina della rappresentanza concorre ad  obnubilare la nozione romana di popolo e ad alterare il sistema giuridico fondato su quella nozione. La dialettica popolo- Principe viene inficiata a spese della parte popolare sia dalla nuova concezione del contratto fondante, sia dall’ammissione o peggio dal postulato che il ruolo proprio del popolo venga svolto da assemblee di suoi rappresentanti. Tutto ciò avviene in epoca medievale e moderna in cui gli stessi antagonisti del Principe, Re od Imperatore che sia, cioè i Parlamenti ei MONARCOMACHI diedero allo Stato un’impronta fortemente aristocratica, per il modo come veniva costituita la rappresentanza popolare.
I Parlamenti o Stati generali, tipici della tradizione germanica di assemblee aristocratiche coadiuvanti il Principe, costituiscono prima la loro partecipazione al potere di governo autonoma e concorrente rispetto al Principe e poi, specie in Inghilterra, la loro totale occupazione dello stesso potere, da un lato utilizzando il principio romano della sovranità popolare e dall’altro ponendosi come rappresentanti del popolo.
Calvino diede un importante apporto teorico alla formazione della moderna dottrina costituzionale. Egli infatti combina rappresentanza politica ed equilibrio dei poteri e ciò è rilevante in quanto attraverso di esso si evidenzia sia il nesso di tale dottrina col tribunato del modello giuspubblicistico romanoche lo stravolgimento di questi. La riflessione di Calvino si articola in due elementi: 1) la necessità nell’epoca moderna del potere impeditivo degli efori spartani, dei demarchi ateniesi e dei tribuni del popolo romani per la difesa del popolo contro possibili abusi dei re e, 2) l’attribuzione del potere di quegli antichi magistrati alle moderne assemblee rappresentative dei tre stati. Calvino, con questo specifico rapporto al pensiero costituzionale, ha influenzato una lunga serie d’autori fra i quali l’anti romanista HOTMAN ed il romanista ALTHUSIUS. Il primo forza in senso aristocratico parlamentare la combinazione eforato rappresentanza in capo all’assemblea degli stati generali ed individua nel Parlamento inglese un modello d’applicazione della soluzione istituzionale da lui auspicata. HALTUSIUS, invece, fa evolvere in senso democratico la nozione di eforo. Tale evoluzione democratica viene sostanzialmente dalla concezione del contratto sociale in senso proprio, ossia romano. La definizione di efori come rappresentanti del popolo non aiuta ALTHUSIUS a intendere e ad esprimere la specificità del potere tribunizio romano. Quindi la riflessione di Calvino concorre alla traduzione della dialettica romana tra popolo e Principe in una dialettica moderna fra le assemblee rappresentative (i Parlamenti) ed il Principe, che si perfezionerà nella dottrina dell’equilibrio e della divisione dei poteri. ROUSSEAU (riprendendo e correggendo HALTHUSIUS) reinvesta il contratto sociale in senso proprio e puro (con la distinzione tra sovranità e governo) e rifiuta drasticamente l’idea moderna di rappresentanza, cioè dovrà reinventare il Diritto – pubblico – romano.

LA VIA INGLESE DEL “SISTEMA RAPPRESENTATIVO” E I SUOI SVILUPPI CONTINENTALI

1- La istituzione parlamentare e lo sviluppo della teoria della rappresentanza nella tradizione inglese.

Il padre moderno della democrazia J. J.  ROUSSEAU ignora sistematicamente la contrapposizione Germani – Romani per impostare nettamente l’alternativa costituzionale tra modello romano e modello inglese. Rifiuta il modello costituzionale inglese, pur ammettendo che esso sia il migliore fra quelli moderni. È invece ammiratore del popolo romano, dei suoi costumi, leggi e governo, così da proporlo a modello di tutti i popoli liberi. Rousseau è profondamente democratico in quanto è repubblicano ed è repubblicano perché ripropone il ius publicum dei Romani.

2- Le interpretazioni dello ius publicum romano e la fondazione della scienza giurispubblcistica contemporanea

a. Il principio: la convenzione tra uomini liberi ed uguali costitutiva della società pubblica

Se i grandi temi del costituzionalismo contemporaneo sono stati posti all’ordine del giorno da M., è R. che produce la formula storico – dogmatica in grado di dominare congiuntamente le categorie costituzionali antiche (greche e romane), e medievali – moderne /germanico – anglosassoni) con i connessi istituti: è quindi solo con R. che nasce la scienza costituzionale contemporanea. Grande invenzione di R. rispetto alla scienza costituzionale del suo tempo sono la concezione del contratto sociale (concepito esclusivamente come costitutivo del popolo, del quale determina la nature, in quanto intercorrente tra i consociati e non tra il popolo ed i capi che esso scegli) e la netta distinzione tra sovrano e governo. E sono proprio gli inscindibili titolarità ed esercizio della sovranità a determinare la natura dello Stato. Quindi per R. il contratto sociale è il principio che pone a fondamento del corpo politico. E R. come Cicerone contrappone l’aggregazione non qualificata ossia la semplice moltitudine alla società., lo stesso dicasi della definizione di popolo e di “citoyens” sulla base della nozione di contratto sociale.
La natura societaria del corpo politico ancora più che postulare significa titolarità ed esercizio popolari del potere di fare le leggi. Il principio diel contratto sociale costitutivo del popolo come corpo politico sovrano e la connessa, fondamentale distinzione tra sovranità e governo sono le basi su cui R. poggia l’ulteriore grande invenzione, la nozione di repubblica.

 

b. La distinzione: “La aristocratica (sedicente rappresentazione) è la peggiore delle sovranità” ma “Il miglior governo è quello aristocratico (rappresentativo)

La prima conseguenza del principio societario è il rifiuto della rappresentanza. Il rifiuto della rappresentanza non ha però niente da spartire con l’ambigua categoria di democrazia diretta. R. respinge la rappresentanza a proposito della legislazione, cioè dell’attività propria del sovrano. Per R. i “rappresentanti” sono per definizione dotati di potere e quindi necessariamente di un ambito di discrezionalità, mentre i “commissari” per definizione ne sono privi. E R. giunge non solo alla combinazione definitoria della rappresentanza con l’aristocrazia, ma anche alla contrapposizione della rappresentanza – aristocrazia nell’esercizio del potere esecutivo alla rappresentanza – aristocrazia nell’esercizio del potere legislativo. Infatti per quanto concerne il governo in termini puramente teorici, la forma migliore potrebbe essere la democrazia, cioè la coincidenza dei governati con i governanti, in concreto, però, essa non è opportuna.
La forma aristocratica di sovranità è , per contro, l’avversario dichiarato, come lo è la sua traduzione medievale – moderna la rappresentanza.

 

c. Il modello: il populus romano e la sua res publica

La costruzione dogmatica del R. è, prima che la proposta di un nuovo tipo di Stato, la interpretazione sistematica del ius publicum romano. E’ la coerente scelta metodologica del modello rispetto al metodo della utopia. Da questo punto di vista, si spiega non solo la formale impostazione romanistica della scienza contemporanea del diritto pubblico, ma anche la presenza, nello stesso diritto, di precisi contenuti romanistica. Persino l’esame dell’elemento feudale – moderno della formula (la rappresentanza) può consentirci di verificare tale affermazione. Il rifiuto della categoria feudale della rappresentanza della volontà è, nella dottrina costituzionale del R., essenziale conseguenza negativa del principio societario. Il rifiuto della rappresentanza colloca il R. rispetto sia alla contrapposizione Germani – Romani (il feudalesimo è considerato istituto propriamente germanico), sia alla “querelle” moderni – antichi, ma sopra tutto dà ragione dell’opposizione di R. al modello costituzionale inglese. E’ la rappresentanza che, con gli
Opportuni distinguo, discrimina la forma conveniente del governo  (rappresentativo e quindi aristocratico) dalla forma necessaria della sovranità (non rappresentabile e quindi democratica ed antiaristocratica). Ed ancora il rifiuto della rappresentanza che, consentendo ed anzi postulando la continua dialettica tra governo – principe da un lato, e popolo – sovrano dall’altro, richiede il ricorso al tribunato (ossia al suo rovescio = la dittatura) per garantire quella dialettica. Il rifiuto della rappresentanza si connette, nella dottrina costituzionale del R., alla essenziale conseguenza positiva dello stesso principio societario: il ricorso alla categoria giuridica romana di repubblica per definire la natura dello Stato per eccellenza, cioè lo Stato retto dalle leggi. La traduzione repubblicana della professione del principio societario illumina la preferenza di R. e nello stesso tempo è da tale preferenza illuminata. E’ in virtù di tale fondamentale preferenza che, secondo R., è Roma, non genericamente gli antichi od i Greci e neppure la stessa Sparta, il modello  della “police” più favorevole alla buona costituzione dello Stato: perché, appunto, nella repubblica romana l’ordine costituzionale poggia sulla volontà del popolo inteso, secondo la definizione del DE REPUBLICA, come società. La capacità da parte di R. d’interpretare il Diritto pubblico romano emerge attraverso la dottrina del tecnico e pregnante significato giuridico delle categorie romane di POPULUS-SOCIETAS e di RES PUBLICA , nonché dello scarto rispetto alle categorie politiche greche. La dottrina storico giuridica contemporanea attribuisce all’esperienza romana due significati di RES PUBLICA: Stato o specifica forma di Stato. R. afferma invece il significato di RES PUBLICA come forma necessariamente specifica diStato in quanto necessariamente caratterizzata dalla sovranità del popolo. Risulta affermata ed insieme superata, attraverso la categoria giuspubblicistica romana di “repubblica”, la stessa categoria politica greca di democrazia.
La categoria greca non è di per sé adeguata per intendere il pensiero costituzionale del R. e con esso il moderno costituzionalismo democratico: in quanto non adatta a distinguere il momento della volontà dal momento dell’esecuzione, esprime una caratteristica “accidentale” della POLITEIA. Cicerone aveva criticato il governo assembleare dei Greci; R. esprime esattamente lo stesso concetto a proposito di Atene. La RES PUBLICA che R. assume a modello è essenzialmente democratica a causa della in sé conseguente disciplina giuridica della società che costituisce il popolo, ciò che esclude assolutamente la soluzione feudale anglosassone della rappresentanza, ma non il combinarsi con le varie forme di governo greche della monarchia, aristocrazia e democrazia: è la definizione ciceroniana di res publica. Con la parola democrazia i Greci antichi traducevano LIBERTAS ed i Greci moderni traducono repubblica. In conclusione R. costruisce la sua sistematica di diritto costituzionale sull’antitesi fondamentale propria al jus publicum romano “res publica regnum”, modernizzandola, a sua volta, come antitese “repubblica rappresentanza”.

 

d. La formula – concernente la sovranità -: la repubblica è essenzialmente democratica e, quindi, necessariamente non rappresentativa

L’interpretazione e riproposizione del R. della categoria giuridica romana di repubblica si traducono nella formula per cui la repubblica è una forma di Stato essenzialmente democratico e quindi necessariamente non rappresentativo. Tale formula costituisce la base scientifica del costituzionalismo contemporaneo e quindi il bersaglio degli  attacchi dei fautori del sistema aristocratico rappresentativo. ROBESPIERRE (RES PUBLICA contrapposta a REGNUM, la cui ADFECTATIO è delitto capitale, da qui le considerazioni svolte da ROBESPIERRE nel processo a Luigi XVI) è l’interprete acuto e fedele di questa dottrina del R. e del suo modello giuridico romano. Per contro gli attacchi si sviluppano su 2 diverse linee, a seconda che l’obiettivo sia appropriarsi della sola categoria giuridica di repubblica od anche della categoria politica di democrazia. In entrambi i casi il risultato è ottenuto attraverso la cosciente falsificazione delle categorie politiche e giuridiche antiche.

 

FALSIFICAZIONE DELLE CATEGORIE ISTITUZIONALI ANTICHE: ROVESCIAMENTO DELLA FORMULA ROMANA ROUSSEAUIANA E CONFUSIONE SCIENTIFICA

 

1. “Repubblica” uguale a governo rappresentativo e contrapposizione repubblica –     democrazia

 

a. Costituzionalisti nord americani antimonarchici ed antidemocratici: “repubblicani”. La rappresentanza istituto discretivo fra “repubblica” e democrazia


E’ stato rilevato il carattere conservatore della Convenzione di Filadelfia ed individuato fra gli scopi della Convenzione evitare che prendessero piede le tendenze democratiche manifestatesi durante e dopo la Guerra di Indipendenza. Le tendenze costituzionali aristocratiche degli Americani delle colonie inglesi si combinano con un modesto livello d’analisi giuridica: essi rifiutano il termine ed il principio di democrazia. Le loro categorie fondamentali fino alla prima metà del XVIII secolo erano state quelle del diritto naturale, del contratto sociale (nel senso di pactum subiectionis) e della peculiare costituzione mista che aveva garantito la libertà inglese. Con la Dichiarazione d’Indipendenza e l’estensione della guerra a tutto il territorio delle colonie si impone l’idea e la parola “repubblica” in funzione antimonarchica  ed antidemocratica. Per assicurare la repubblica su un grande territorio occorrono saggezza, moderazione, cautela e autorità. Pertanto la democrazia è vista come un pericolo per la nascente repubblica Questa deve essere il trionfo della ragione intesa come ragionevolezza, mentre la democrazia appare come una minaccia continua di disordini civili a cui segue la dittatura. Ci sono però i fautori della “democrazia” ed avanzano critiche alla costituzione inglese e richiamando R. esprimono fiducia nella sovranità popolare e ADAMS definisce la repubblica come l’impero delle leggi in quanto contrapposto a quello concreto degli uomini e pone l’accento più che sulla stessa rappresentanza sul valore repubblicano dell’equilibrio dei poteri, ripreso dalla monarchia inglese. Il TURGOT, ministro francese di Luigi XVI, deluso nei propri tentativi di riforma, esalta la “rivoluzione “ americana, ma critica la fiducia in un astratto potere delle leggi e la mancanza di democrazia nelle costituzioni di molti loro Stati, rimaste troppo aderenti al modello inglese.  ADAMS difende al contrario le costituzioni americane, proprio in quanto simili a quella inglese e condanna le esperienze democratiche. In Francia, nello specifico contesto del dibattito circa la conservazione o meno della monarchia, la debolezza argomentativa dell’identificazione nord americana fra repubblica e sistema rappresentativo viene facilmente rilevata proprio da un autorevole teorico e sostenitore del sistema EMMANUEL SIEYES, che contesta l’equazione repubblica 0 sistema rappresentativo!, e cerca di liberarsi dal R. più con la sufficienza che con la logica. E venuto meno, con la consolidata istituzione della Repubblica francese, il dilemma “monarchia o repubblica”,e stroncato il tentativo democratico giacobino, troviamo accreditato anche in Francia la contrapposizione nord americana fra repubblica rappresentativa e democrazia.

 

b. KANT: perfetto rovesciamento della formula rousseauiana nella contrapposizione tra “repubblica” (cioè governo rappresentativo) e dispotismo. Compatibilità del governo “repubblicano – rappresentativo” con le varie forme di sovranità. Le repubbliche antiche non sono vere “repubbliche” perché democratiche (quindi dispotiche)


Il pensiero costituzionale di KANT è complesso. Per cercare di comprendere la posizione che K. Assume in ordine alle categorie di repubblica e democrazia occorre tener presente la distinzione che egli opera fra morale e diritto, la concezione formale della giustizia e quella negativa della libertà., l’idea della coincidenza “fatto – diritto” nell’originario patto sociale. K. In due sue opere teorizza la contrapposizione fra democrazia e repubblica (ZUM EWIGEN FRIEDEN e METAPHISIC DER SITTEN. Nel 1° sviluppa il discorso più organico, poi dà uno sviluppo teorico alla contrapposizione fra repubblica rappresentativa e democrazia. A suo avviso le forme di uno Stato (CIVITAS) possono essere classificate o secondo le persone che rivestono il potere supremo, o secondo il modo di governare il popolo da parte del sovrano, qualunque esso sia. La 1^ si chiama forma di dominio (FORMA IMPERII): autocrazia, aristocrazia e democrazia. La 2^ è la forma del governo (FORMA REGIMINIS) ed è ben più importante della forma di sovranità: essa o è repubblicana o è dispotica. La repubblica è l’unica forma costituzionale, il modo politico secondo cui si separa il potere esecutivo dal legislativo e non può che essere rappresentativa, perché ogni forma di governo non rappresentativa non è propriamente una vera forma di governo. K. Porta alle estreme conseguenze il proprio ragionamento sino a negare che le repubbliche antiche fossero veramente tali in quanto non conoscevano il sistema rappresentativo. Da tutto ciò appare che la posizione di K.  È consapevolmente il suo rovescio. La linea della contrapposizione fra repubblica e democrazia verrà proiettata fino ai giorni nostri. Non solo si conserverà, almeno nominalmente, nella contrapposizione dei 2 massimi partiti politici USA, ma riapparirà anche nel recente dibattito politico.

 

2.“Democrazia” uguale a governo rappresentativo e nuova combinazione “repubblica – democrazia”

 

a. DEMEUNIER: distinzione fra “democrazia pura” delle repubbliche antiche (che rifiuta) e “democrazia” senza aggettivi (che accetta), corrispondente alla “aristocrazia elettiva” di Inghilterra e Stati Uniti, dove il popolo agisce “tramite rappresentanti”


In Francia tra il 1784ed il 1788 sono pubblicati i primi 4 volumi della Enciclopedia metodica di cui è responsabile J. N. DEMEUNIER dove si trova un risalente impiego della parola democrazia “tout court” per indicare il sistema rappresentativo. Secondo D. ad Atene la CONSTITUTION DU GOUVERNEMENT fu puramente democratica, caratterizzato da decreti del popolo ingiusti ed assurdi. Ed avendo la democrazia pura e semplice gravi difetti bisognava rimediare con istituzioni democratiche, in particolare con un senato, pertanto dà forte apprezzamento ad una democrazia intesa in senso lato. Il D. appare pertanto filo britannico o meglio filo statunitense, ammiratore della “bilance” dei poteri del sistema rappresentativo.  Così anche D. , come 40 anni prima MONTESQUIEU e 10 anni dopo KANT (vorrebbe insegnare ai Romani che cosa è una repubblica) trova che gli antichi, fra cui ARISTOTELE , non sapevano cosa fosse la monarchia e l’aristocrazia e liquida  il concetto di democrazia aristotelico .

 

b. TOCQUEVILLE: la “repubblica” nord americana come esempio di “democrazia”


La strada che si intravede negli scritti di DEMEUNIER sarà percorsa sino in fondo da ALEXIS TOCQUEVILLE (usando anche lo stesso modo espressivo). Aristocratico e di conseguenza antidemocratico, però anziché combattere la democrazia a viso aperto, proporrà caldamente la costituzione nord americana come modello. La vera novità è che T  non non sente più il bisogno d’avvertire i suoi lettori che Aristotele non sarebbe d’accordo con simili proposizioni. Dopo il 1° rifiuto del M. sia della democrazia sia della repubblica a favore del sistema rappresentativo (aristocratico e monarchico) e dopo la selettiva negazione di MADISON e di KANT, dell’assunzione operata in senso antifeudale – rappresentativo da ROUSSEAU e da ROBESPIERRE della categoria politica greca di democrazia all’interno della riproposizione della categoria giuridica romana di repubblica, le 2 categorie antiche torneranno ad incontrarsi pienamente e senza riserve al vertice della scala dei valori costituzionali ed al prezzo dell’obliterazione del loro significato antico e della confusione del linguaggio scientifico (politico e giuridico) contemporaneo.

 

  Bibliografia:
 

G. Lobrano , «Res Publica res Populi - La legge e la limitazione del potere », G. Giappichelli Editore, Torino, , pp. 241.

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